Mio padre il 27 ottobre (1920) avrebbe compiuto cento anni

Igino Manfre's Blog



Guido Manfre’, mio padre, come molti della sua generazione, ha avuto due vite: la sua prima, quella di calciatore (centrocampista di Lazio, Catania, Siracusa) inframezzata dalla guerra e dalla prigionia in grecia (ma si salvo’ dalla ARMIR) e la seconda – meno nobile - da impiegato-numero di una grande azienda di costruzioni.


Catania 1939, prima della chiamata alle armi (a quel tempo 2 anni, ma scoppio' la guerra).
A Guido a quel tempo piaceva atteggiarsi...
Somigliava a Clark Gable (anche se Via col Vento arrivo’ dopo la guerra)...
Sembra incredibile che qui avesse solo 19 anni... io a 19 anni ero un ragazzino...


Era nato dalle parti di Ponte Milvio.
La madre (mia nonna), Ida Fulloni, era nata a Palermo perche' sua madre - che mori' dandola alla luce (a quel tempo succedeva spesso) - era di Palermo.
Ci sono delle bellissime foto, fatte dal suo nonno materno (il mio bisnonno), Antonio Fulloni, un chimico che aveva fatto fortuna - aveva una partecipazione nella Montecatini - grazie alla conoscenza del processo industriale per la produzione della calciocianammide, un fertilizzante.
Aveva anche la passione della foto - a quel tempo ancora un'arte negromantica - e la convinzione che in qualche modo sarebbe riuscito a ri-ottenere la madreperla dalle ostriche fossili di Monte Mario (ovviamente senza mai riuscirci).

Se la famiglia paterna di Ida era benestante, la famiglia che si accingeva a mettere su con Peppino non lo fu affatto. Il padre di Guido - mio nonno - Giuseppe Manfre' (detto, appunto, Peppino) era il figlio di un commerciante di stoffe ambulante che lavorava nella bassa friulana. Era nato a San Dona' di Piave (Venezia) ma aveva fatto le scuole (Croate!) a Fiume, al tempo nell'Imperial Regio Regno di Ungheria (parte della Kakania dalle iniziali KK di kaiserlich-königlich, appunto imperial-regio).
Mi sembra - ma non ne sono sicuro - che avesse fatto anche qualche anno di seminario.

Peppino era un ebanista e venne a perfezionarsi da uno scultore a Roma.
Sai come vanno le cose... a Roma conobbe Ida, la piu' grande delle figlie di Antonio e ne chiese la mano. C'era un evidente problema di censo, ma era il 1915, e Antonio Fulloni - padre di un ufficiale di cavalleria che poi divenne uno dei primi aviatori del Regno - se ne usci con la battuta mia figlia non puo' sposare un codardo e a mezza bocca e speriamo che una pallottola intelligente risolva il problema.

Tra gli oltre 600 mila italiani che ci rimisero la pelle - quasi a fare un dispetto ad Antonio Fulloni - non ci fu Giuseppe Manfre'.
Ida e Giuseppe si sposarono nel gennaio del 1920 ed il 27 Ottobre nacque Guido.
Peppino era un valente artigiano, aveva una buona clientela, un buon reddito...
Andarono ad abitare in un appartamento delle nuovissime case popolari di Piazza Melozzo da Forli', un appartamento che doveva essere un castello: costava oltre 400 lire al mese di affitto (quando lo stipendio da sogno era 500 lire al mese ed anche meno...).
La customer satisfaction non doveva essere il forte di mio nonno: la pacchia non duro' e nel 1926 - quando a Guido si erano aggiunti nel 1924 Mario e nel 1926 Bruno - la famiglia si trasferi' in quello che l'aneddotica familiare chiamava il castello Manfre' ufficialmente una stanza e cucina all'attico con un terrazzo meraviglioso.


nel 1927, sulla finestra della nuova casa, da sinistra Guido (vestito alla marinara),
suo padre Giuseppe (nonno Peppino, 1889), appoggiato al tavolo che tiene in braccio Mario (1924),
seduta mia nonna Ida (1892) con in braccio Bruno (1926, il futuro Manfre' III di alcuni siti)

A quel tempo la pianificazione urbanistica funzionava meglio degli anni '60. Le case popolari di piazza Melozzo, piazza Perin del Vaga, Viale del Vignola, furono edificate insieme alla scuola (Guido Alessi sulla via Flaminia) e alla chiesa (Santa Croce, 1910), vicino al Maxxi.

Il calcio, il nuoto nel fiume, erano gli sport dei ragazzini di quella periferia. Famiglie numerose, con densita' incredibili (in 5 in un appartamento di una stanza!).


Guido a 13 anni (1933), era un pulcino della Lazio. Bellissimo il suo "sguardo in macchina".

Guido brucio' le tappe, era un centromediano. Per questo suo ruolo segno' pochissimi gol nella sua carriera.
Dopo un anno di panchina fu prestato al Catania nel 1939. Da Catania parti' per il servizio militare ed il 10 giugno 1940 l'italia entro' in guerra.


Tessera da professionista del 1938 (a neanche 18 anni, probabilmente la prima da professionista).


Nei primi anni della sua seconda vita sono nato io (aveva 35 anni), e quindi cio' che ho scritto sopra, lo so per tramandazione orale, e' cio’ che mi hanno raccontato.

Il primo ricordo che ho di lui - dovevo avere 2 o 3 anni – e' il suo ingresso in casa quando tornava a casa all’ora di pranzo – io lo vedevo grandissimo. Mangiava, si faceva una pennichella e tornava a via Depretis, sei giorni alla settimana (la domenica solo la mattina).

Mi ha trasmesso tante cose, almeno se rapportate al tempo che passava a casa, un sacco di cose giuste (qui ne ricordero' due)

L’odio per le armi (non c’erano armi giocattolo a casa nostra: ne io ne' mio fratello ne abbiamo mai ricevute in regalo), l’interesse per fare le cose (lui che non sapeva nemmeno piantare un chiodo), il fatto che – a volte – si deve non sentire la fatica o la stanchezza, stringere i denti e andare avanti.

Non mi ha mai forzato a giocare al calcio.
Ci aveva provato (con esiti fallimentari) con mio fratello – altri tempi – cui regalo’ un piccolo pallone da calcio di cuoio... No, con me neanche ci ha provato.
Come ex-atleta lo ricordo coinvolto in periodiche cene con i suoi ex-compagni di squadra nei ristoranti di Roma. Aveva la tessera omaggio per accedere alla tribuna monte mario, e qualche volta mi ha portato allo stadio , riuscendo a farmi imbucare.

Una volta pero’ (era Lazio-Inter e la lazio perse, mi pare per 1 a 0), fu costretto a pagare per me il biglietto ridotto, 10000 lire, mi pare – una tombola – e quella fu l’ultima volta che andai a vedere una partita allo stadio.

Ci sono tornato qualche giorno fa all’Olimpico, come cronometrista per il Golden Gala.
Era completamente trasformato (dopo i mondiali del '90) e mi e’ venuta in mente quella mia ultima volta.

Nel 1966 la societa dove lavorava – la Sogene braccio operativo della Societa’ Generale Immobiliare - si trasferi’ all’EUR (nel palazzo nero di Piazzale dell’Agricoltura, uno dei due propilei dell'EUR progettati da Moretti).
Finirono gli straordinari, ma i soldi rimasero quasi gli stessi.
Ma i sabati e le domeniche - quando avevo una decina d'anni - mio padre era tutto per me.

Tra le cose che mi ha trasmesso c'e' l’odio per la guerra.
Sapevo che mio padre aveva fatto la guerra, e sapevo anche che era stato preso prigioniero, ma non me ne aveva praticamente mai parlato.
Ne' della guerra ne' della sua esperienza.
Quando mio fratello parti’ a fare il militare (1966), ricordo che gli chiesi – mentre camminavamo lungo via Frobel un vicoletto ora inglobato in via acquedotto del peschiera - papa’ tu non mi hai mai parlato della guerra.
Inizialmente non mi rispose, poi mi disse la guerra e’ una cosa bruttissima, non mi va di parlarne e si deve fare di tutto affinche’ non ce ne siano piu’.
Poi a casa mi comicio’ a raccontare:

Vedi, quando avevo 20 anni, giocavo a pallone, ero un professionista, ero ricco, almeno rispetto agli altri che conoscevo... non si sapeva cosa succedeva in realta', di politica non si parlava: che ne sapevo io?
Sentivo i discorsi del
puzzone [Mussolini]: 8 milioni di baionette e romperemo le reni ai greci, vincere, e vinceremo
io credevo a questi messaggi: che ne sapevo?
Mi mandarono al CAR [Addestramento Reclute] nelle Marche, dove - sapendo fare le moltiplicazioni – mi nominarono capopezzo.


Ecco la poderosissima bocca da fuoco da 47/32 dalla apparenza tanto innocua, ma dall’effetto potente, come sanno i suoi addetti – Matelica 30 maggio 1940
(nota autografa di mio padre, in piedi al centro della foto)

All’entrata in guerra nel giugno del ’40, mi mandarono nelle retrovie del fronte con la Francia. Per noi fu una passeggiata: non sentimmo neanche uno sparo. Se questa era la guerra eravamo veramente imbattibili
Poi a fine ottobre fu dichiarata la guerra e a noi – nel frattempo rientrati a Matelica – ci mandarono in Albania, sul fronte Greco.
Pensavamo che anche quella sarebbe stata una passeggiata, con
8 milioni di baionette!
L’Albania era una colonia italiana, e all’inizio – per quanto ci riguardava – fu veramente una passeggiata, noi eravamo sul lago di Ochrida.
Una notte sentiamo che i greci cominciano a sparare boom boom....
Dico:
Ragazzi mi sa’ che questi cominciano a spara'... Giova’ mettete al ripa... boom, boom... Giova’! Giova'!...
Era cascata una granata - come quelle che sparavamo noi - li' vicino a noi...
Mi volto, cerco Giovanni: j’era zompata la testa...
Mi fischiavano le orecchie, ma ero vivo...
Cominciammo a scappa’, ma ci fecero prigionieri.
Ci portarono a Kalamata, non e' che fosse una vacanza... ci facevano zappare nelle vigne...e siccome eravamo convinti che era compito del patriota danneggiare il nemico, invece di zappare intorno alle viti, zappavamo le radici delle viti, rompendole... pensa che teste di cazzo!...
Poi nel febbraio del 1941 arrivarono i paracadutisti tedeschi che mi liberarono, e tornai in Italia, mi diedero una licenza e tornai a Roma...

Sono passati 45 anni, ho usato il discorso diretto, come se fosse lui a raccontare anche a te la sua storia, ma vado a memoria.
Ogni volta che racconto questa storia mi sembra ancora di sentire le sue parole...


Nel 1981 erano gia’ 7 anni che ero iscritto a ingegneria, con quattro anni di ritardo avevo sbiennato (che vuol dire: avevo fatto gli esami previsti per i primi due anni) ed anche una decina di altri esami.
Era stata molto dura perche’ ero uscito dal liceo che non sapevo neanche quanto faceva a piu’ b al quadrato, infatti impiegai un anno a preparare analisi uno.
Avevo fatto il militare, la mia prima ragazza vera mi aveva mollato, avevo sbroccato (ero uscito fuori di testa)
Non riuscivo a studiare (in un paio di anni forse avro' fatto due esami).
Mi sembrava poco serio, una presa in giro... Anche se non chiedevo soldi, mio padre mi passava un mensile di circa 100 mila lire... Le mie esigenze erano molto contenute. All'universita' avevo conosciuto ragazzi che avevano gia' famiglia, che per studiare facevano i camerieri... io facevo il figlio di papa... mi sentivo incoerente.
Ero abbastanza intenzionato di lasciare perdere.

Un sabato mattina, camminando mio padre mi dice:
Gine’, pensace un po’ prima de lassa’ perde... sei arrivato a meta’ hai fatto un bel po' di esami... quanti te ne mancano? Una decina?
I soldi non sono un problema, lo sai...
Con solo il diploma di liceo scientifico che ce fai?...
Se vai a lavorare che cosa pensi di fare?
Cosa gli racconti?
Invece, se ti prendi questo pezzo di carta...
...e sai una laurea in ingegneria e' una cosa importante...
Stringi i denti, fatti questi dieci esami e poi parti...

Gli ho dato retta.
Non sono diventato Marconi, probabilmente avrebbe sofferto del mio stato in questi ultimi anni, ma non posso far altro che ringraziarlo.


Nonno Guido nel 1983 (era diventato nonno da 8 anni).
Era in pensione da 3 anni (allora si andava in pensione di vecchiaia a 60 anni).

Poi subentro il tremore senile (sono convinto che non fosse parkinson, e - anche se lo curarono per questo - le cure che gli diedero lo fecero divenire dipendente...
piu di quei dosaggi di L-dopa non potevano dargli...


questa e' l'ultima immagine di Nonno Guido che ho, pasqua 1996
E' tratta da un video girato alle figlie (che avevano rispettivamente 4 e 6 anni, quasi nemmeno se lo ricordano)
... dopo circa 10 mesi due ictus a distanza di tre giorni l'uno dall'altro se lo sono portato via.
Era il 15 febbraio 1997,

Grazie Papa'... e auguri per i tuoi 100 anni!

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